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Io Donna. NOI, perestrojka BOYS.

“Gorbaciov ci disse: Vi abbiamo dato
la libertà, adesso usatela”
Eduard Ratnikov, editore e organizzatore di concerti

Inostri cuori reclamano il cambiamento/ I nostri occhi pretendono il cambiamento/
Nelle nostre risate e nelle nostre lacrime, nelle nostre vene pulsa
il cambiamento». È il 1987, il rocker Viktor Tsoj canta nella scena clou
del film Assa. Entrambi, film e cantante, emblema di un’epoca, “culto” per
un’intera generazione. Quella dei giovani sovietici sospinti dal vento della
perestrojka. Band leggendarie come Kino, Zvukj Mu, Nautilus Pompilus,
Est, gli artisti Timur Novikov e Afrika, la “marziana pop” Aguzarova. E dietro di
loro, ben prima dell’89, migliaia che si esaltavano sotto il palco ai concerti, inventavano
mode e stili, sovvertendo i canoni della vita sovietica. Bikers, teddy boys, new
wavers, metallari, punk, rockers, rockabilly e psychobilly, e i loro antenati “styliagi”
patiti del jazz e del look “americano” nell’Urss anni Cinquanta.
Vent’anni dopo la caduta del Muro, a Mosca una mostra e un libro li celebrano.
Hooligans ’80 di Misha Baster (a cura dell’agenzia T.c.i., sito web: tci.ru), 800
foto da archivi privati mai pubblicate, 40 interviste ai protagonisti di quella straordinaria
stagione: «Il più grande festival di disobbedienza giovanile della storia, l’epoca
più libera per la Russia». Allegro, ironico e spavaldo, tra protesta romantica e avventura,
bullismo e provocazione: «Eccomi qua con la cresta punk. Avevo 15 anni.
Non capivo nulla di politica. Eravamo i primi giovani sovietici ad assaporare la libertà.
Gli alternativi nell’Urss ci sono sempre stati, ma erano nascosti, perseguitati,
repressi» dice Baster. Con la perestrojka tutto cambia. Controllo e censura si allentano.
Un’onda di “diversi” invade le strade, da Mosca a Sverdlovsk a Leningrado,
epicentro del movimento: «Credevo di essere l’unico con la cresta, al festival della
gioventù del 1985 capii che eravamo tantissimi. Nell’88 vidi dei biker sulla Piazza
Rossa, con le loro Harley Davidson». Dove diavolo le avevano prese? Erano quelle
portate dai nonni come trofeo dalla guerra in Europa. Si va a caccia di abiti e musica
straniera al mercato nero: già dalla fine dei Settanta filtravano David Bowie e Talking

Heads, giacche portate dai turisti italiani. «Il problema maggiore erano le scarpe:
trovarne di buone era difficilissimo. Eravamo poveri, con poche informazioni dall’esterno,
così ci arrangiavamo con quello che c’era, e finimmo per creare qualcosa di
nuovo e unico». Il punto non era copiare l’Occidente, ma andare contro il grigiore e
l’uniformità del “brutale uomo sovietico”. Ecco gli aristo-punk, caricatura dei burocrati:
nei negozi riservati all’elite del Partito rubano eleganti abiti “retro” e li accoppiano
a capelli tinti in casa. I punk inglesi lottavano contro il capitalismo, e quelli russi? Il
sistema, la nomenklatura, la vita noiosa, l’ingiustizia sociale. Gli “avanguardisti” invece
si rifanno ai primordi della Rivoluzione, utopici e audaci. Nel 1988 inscenano una
performance all’Asilo a Mosca, un grande squat giusto accanto a una scuola del Kgb
di cui nessuno conosceva l’esistenza. Pro-occidente? «Solo in parte. L’obiettivo era la
libertà, l’espressione individuale». Nel 1987 gli Aquarium cantano “Generazione di
spazzini e portieri”, rifiutando l’etica del lavoro socialista. Un anno dopo l’umore è
cambiato: «Questo treno sta bruciando, e non abbiamo nessun posto dove fuggire».
Polizia e Kgb tornano a colpire: «Il crollo dell’Urss era vicino ma non lo sapevamo, né
capivamo la valenza “politica” dei nostri gesti. Reagimmo con rabbia e nichilismo».
«Fu un’epoca di euforia, enormi speranze e aspettative» ricorda Eduard Ratnikov,
editore del libro e organizzatore di concerti di star internazionali in Russia.
«Improvvisamente tutto pareva possibile. Dopo quel sepolcro imbiancato di Andropov,
Gorby ci disse: «Vi abbiamo dato la libertà, adesso usatela». Nell’89 ogni
giorno c’erano riunioni, concerti, meeting. Poi di botto finì tutto. Al vecchio mondo
si sostituì quello nuovo basato sul denaro. Non era quello che sognavamo». Nel
1991, dopo il golpe vede il tricolore russo sventolare sul Cremlino invece della falce e
martello: «Pensai di avere la traveggole: credevo che l’Urss sarebbe durata per sempre
». I suoi compagni di strada? C’è chi è diventato milionario e chi fa il poliziotto, chi
è emigrato negli States. Moltissimi sono morti nel turbine dei 90, tra criminalità e droga:
«Non eravamo abituati a rispondere delle nostre azioni».

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